Uno strato denso di vapore acqueo occupa l'intera sala espositiva. Non vi sono oggetti né immagini. Come di consueto, nelle installazioni in cui l'artista utilizza acqua o vapore, tali elementi hanno una storia direttamente connessa alla violenza.
La nebbiolina nella quale siamo immersi viene generata da acqua disinfettata in cui sono stati immersi lenzuoli usati per avvolgere persone morte in Italia. Nelle versioni diVaporización precedenti, l'acqua raccolta era stata utilizzata in un obitorio di Città del Messico per lavare i corpi di vittime di omicidio a causa del narcotraffico. Il vapore non solo ci avvolge, ci tocca la pelle e gli abiti, penetra nel nostro corpo, e con esso la morte di cui è impregnato. Attraverso i sensi, facciamo esperienza dell'epilogo violento toccato a questi corpi. Ci troviamo così in uno spazio tra vita e morte: il vapore suggerisce la scomparsa dell'altro, il suo dissolvimento, e al tempo stesso ci porta a fare i conti con le tracce del corpo che non c'è più.
Quando l'informazione di trovarsi a contatto con fluidi usati negli obitori viene data dopo aver fatto esperienza dell'installazione, come per En el aire (2003), dove centinaia di bolle di sapone invadono la sala del museo, si genera un cortocircuito tra l'azione del gioco e la ripugnanza del cadavere. La risposta emotiva di disgusto suscitata nel visitatore lo porta a completare l’installazione attraverso la propria capacità di visualizzazione interiore che, in questi casi, non è di natura visiva e immediata, ma sensoriale e cognitiva.